IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nei procedimenti riuniti nn.
 108, 137, 516, 1050, 1056 e 1057 del 1995  r.g.  pendenti  tra  Loris
 Bernardini,  Uggias  Gianfranco, Nieddu Baingio, Tocco Cesare, Tronci
 Emilio e la Sidirbank contro la Banca di Sassari S.p.a.
   Con   comunicazione   del   27   settembre   1994,   inviata   alle
 organizzazioni  sindacali  di  categoria,  la  Banca di Sassari, dava
 inizo ad una procedura di licenziamento collettivo ex art.  24  legge
 n.  223/1991,  relativamene  a  25  dipendenti aventi la qualifica di
 funzionario. Al termine della procedura, cui non  prendeva  parte  la
 Sidirbank,  veniva  raggiunto un accordo che prevedeva, tra gli altri
 punti,  una  riduzione  di  orario  di  lavoro  e  di  stipendio  dei
 funzionari   in   servizio,   per  un  periodo  di  anni  due  ed  il
 licenziamento di otto funzionari,  da  individuarsi  sulla  base  del
 requisito della maggiore anzianita' contributiva.
   Con comunicazione del 16 dicembre 1994, in attuazione dell'accordo,
 la  Banca  di  Sassari  intimava  il licenziamento, tra gli altri, ai
 ricorrenti sopra indicati,  alcuni  dei  quali  avevano  sottoscritto
 l'accordo  in  sede  ULMO e, tutti, in seguito, avevano contestato il
 recesso della Banca e adito questo pretore per sentire  dicharare  la
 illegittimita'  del  licenziamento e per essere reintegrati nel posto
 di lavoro.
   Assumevano,  tra  l'altro,  che  la  procedura  del   licenziamento
 collettivo, di cui alla norma citata, non poteva trovare applicazione
 nei  confronti  dei  lavoratori  aventi  la qualifica di funzionario,
 figura professionale contrattualmente  ricompresa  nell'ambito  della
 dirigenza  e che tale circostanza rendeva illegittimi i licenziamenti
 adottati, non essendo, poi,  possibile  utilmente  qualificarli  alla
 stregua di un licenziamento per giustificato motivo obiettivo poiche'
 non vi era stata alcuna soppressione dei posti di lavoro dagli stessi
 ricorrenti ricoperti.
   Nel  costituirsi  la Banca di Sassari oltre ad osservare che alcuni
 dei ricorrenti avevano espressamente  aderito  all'accordo  predetto,
 sosteneva,   invece,   l'applicabilita'  anche  ai  funzionari  della
 procedura di cui  alla  legge  n.  23/1991  e,  in  via  subordinata,
 chiedeva  che  venisse  accertata  e  dichiarata la sussistenza di un
 giustificato motivo obiettivo di licenziamento.
   In relazione ai fatti ed alle prospettazioni delle parti cosi' come
 succintamente esposti, risulta  evidente  che  punto  centrale  della
 controversia  e'  quello  relativo  alla  estensibilita'  o  meno  al
 personale  avente   qualifica   dirigenziale   della   procedura   di
 licenziamento collettivo di cui alla legge n. 223/1991.
   Alla  questione, allo stato, deve darsi una risposta negativa sulla
 base,  essenzialmente,  di  una   interpretazione   letterale   delle
 disposizioni  della  l.  cit.  che  disciplinano  la  fattispecie  di
 licenziamento collettivo.
   L'art. 24 l. cit., nel tipizzare la riferita  fattispecie  (imprese
 con  piu'  di  15  dipendenti  che  in conseguenza di una riduzione o
 trasformazione di attivita'  o  di  lavoro,  intendano  procedere  ad
 almeno  5  licenziamenti  nell'arco  di  120 giorni), rinvia, per gli
 aspetti  procedurali,  ai  commi  da 2 a 12 dell'art. 4, in cui viene
 regolamentato l'iter per addivenire alla dichiarazione di  mobilita';
 il  comma  9  di  tale  articolo dispone testualmente che: "Raggiunto
 l'accordo sindacale ovvero esaurita la procedura di cui ai commi 6, 7
 e 8, l'impresa ha facolta' di collocare in mobilita'  gli  impiegati,
 gli operai e i quadri eccedenti, ecc.".
   Deve  quindi  sostenersi  che  l'ambito  dei lavoratori che possono
 essere collocati in mobilita' coincide con quello dei prestatori  che
 possono  essere  destinatari di un licenziamento collettivo e che tra
 questi non sono dunque compresi i  dirigenti.  In  contrario  non  e'
 decisiva  l'osservazione  secondo cui nella legge n. 223/1991 vengono
 disciplinate due distinte ipotesi di licenziamento  collettivo,  agli
 artt.  4  e 24, e che e' quest'ultima disposizione ad avere carattere
 di generalita', sia in quanto puo' riguardare imprese  escluse  dalla
 mobilita',  sia  in  quanto  si  applica  "a  tutti  i licenziamenti"
 collettivi  disposti  dall'impresa,  senza  distinzioni  riguardo  ai
 lavoratori coinvolti.
   Ed  infatti,  pur dovendosi convenire sul maggiore e diverso ambito
 delle  imprese  che  possono  procedere  a  licenziamento  collettivo
 rispetto   a   quelle   che   possono  ricorrere  alla  procedura  di
 dichirazione della mobilita',  resta  il  fatto,  decisivo,  che  per
 disciplinare  la  fattispecie "generale" di licenziamento collettivo,
 il  legislatore  ha  fatto   espresso   richiamo   alla   fattispecie
 "particolare"  della  dichiarazione di mobilita' di cui al precedente
 art. 4, commi da 2 a 12, circostanza che porta ad  escludere  che  il
 legislatore  abbia  voluto  introdurre  differenziazioni in merito ai
 lavoratori destinatari delle  due  distinte  procedure.    D'altronde
 neppure  puo'  ipotizzarsi  una  sorta  di svista legislativa poiche'
 quanto si e' voluta limitare la portata del rinvio ai commi da 2 a 12
 dell'art. 4, lo si e' fatto espressamente  (vedi  comma  3  dell'art.
 24).
   In  merito  alla  ratio sottesa alla esclusione della categoria dei
 dirigenti dalla ipotesi di licenziamento collettivo di  cui  all'art.
 24  cit. si e' fatto osservare che tale esclusione e' coerente con il
 regime di recedibilita' ad  nutum  per  essi  vigente,  coerenza  che
 verrebbe  invece  meno  nel  caso  in  cui  si  dovesse ipotizzare un
 licenziamento collettivo dei dirigenti che, necessariamente,  avrebbe
 tra i suoi presupposti di validita' la sussistenza di un giustificato
 motivo obiettivo.
   Ad  escludere,  poi,  che  l'art.  24  cit.  abbia  riguardo  anche
 all'ipotesi  del  licenziamento  collettivo  dei  dirigenti,  sta  la
 ulteriore  considerazione  che  per  il  caso  in cui la procedura di
 licenziamento non venga correttamente svolta dall'impresa,  la  legge
 prevede   la   inefficacia   del   provvedimento  risolutorio  ed  il
 conseguente    ripristino    del    rapporto,    nel    mentre    per
 l'ingiustificatezza  del  licenziamento individuale del dirigente, da
 titolo, di norma,  a  conseguenze  di  carattere  indennitario  (vedi
 Cass.13 marzo 1996 n. 2058).
   Cio'  posto, ad avviso del decidente, l'esclusione tout court della
 categoria dei dirigenti dalla procedura dell'art. 24  cit.  viola  il
 principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Carta costituzionale
 in  riferimento  agli  altri  lavoratori,  non apparendo giustificata
 detta  generale   esclusione   se   raffrontata   ad   alcune   delle
 caratteristiche  oggi  assunte  dal  rapporto di lavoro del personale
 dirigenziale.
   In   proposito   deve   osservarsi   che,   soprattutto   su   base
 convenzionale,  si  e'  assitito ad un consistente allargamento della
 figura del "dirigente" fino a ricomprendervi  lavoratori,  tecnici  o
 amministrativi,   che  pure  in  possesso  di  un  elevato  grado  di
 qualificazione professionale, non  sono  tuttavia  posti  al  vertice
 dell'impresa  o  ad  un  ramo  di  essa.   Questa evoluzione e' stata
 particolarmente   accentuata   nel   settore   bancario    in    cui,
 contrattualmente, nel personale direttivo sono compresi i funzionari,
 lavoratori  cui  e'  attribuita  una  rilevante  autonomia ed il c.d.
 potere  di  firma  e  rappresentanza  e  che  si  trovano  ad  essere
 gerarchicamente  sovraordinati  nei  confronti  dei  quadri  e  degli
 impiegati.  Correlativamente all'allargamento della categoria  si  e'
 avuta,   sempre   su  base  convenzionale,  una  estensione  ai  c.d.
 "mini-dirigenti" delle norme limitative  dei  licenziamenti  previsti
 per  gli  altri lavoratori, sicche' ad oggi, nel settore bancario, il
 licenziamento individuale del funzionario, - la cui figura  non  puo'
 essere assimilata, neppure ai fini considerati, a quella dei quadri o
 degli   impiegati   ostandovi  il  preciso  dato  contrattuale  sopra
 richiamato e la  innegabile  diversita'  delle  mansioni  svolte  dai
 funzionari  cui  corrisponde  una  maggiore  responsabilita'  (ed  in
 proposito occorre precisare che i ricorrenti  rivestivano  alla  data
 del  licenziamento  funzioni di vice direttore di sede o di filiale o
 settorista), - e' consentito solo  in  presenza  di  un  giustificato
 motivo  ex  art. 3 legge n. 604/1966, con conseguente tutela reale ex
 art. 18 St. Lav. (vedi art. 8 del CCNL).
   Quanto  sopra  rende  evidente  che   l'elemento   fiduciario   non
 caratterizza piu' in modo determinante il rapporto di lavoro di tutto
 il  personale direttivo e che, pertanto, la generale esclusione dalla
 procedura di cui all'art. 24 l. cit. non appare ragionevole.
   In sostanza, se la presenza  dell'intuitus  personae  vale  a  dare
 ragione  della  differenziazione  della disciplina in tema di recesso
 per i dirigenti e gli altri lavoratori (vedi  Corte  cost.  6  luglio
 1972   n.   121;   Corte   cost.   26  ottobre  1992  n.  404),  tale
 differenziazione risulta ingiustificata, nel caso in cui, per legge o
 per convenzione, anche  il  rapporto  di  lavoro  dei  dirigenti  non
 risulta piu' improntato principalmente dall'elemento fiduciario.
   E   che   nell'ambito   del   personale  direttivo  siano  doverose
 distinzioni tra dirigenti "puri" e "mini-dirigenti"  viene  affermato
 dalla  stessa  S.C. che ha ritenuto applicabili anche a questi ultimi
 le garanzie procedurali di irrogazione  delle  sanzioni  disciplinari
 (vedi Cass.  29 maggio 1995 n. 6041).
   La  scelta legislativa di sottrarre dalla procedura di cui all'art.
 24 cit. tutto  il  personale  direttivo  risulta,  poi,  ancora  piu'
 irragionevole  ove  si  abbia  riguardo  al  fatto  che  in  tema  di
 licenziamento   collettivo    l'intuitus    personae    non    rileva
 assolutamente,  discendendo  la  determinazione di recesso del datore
 dalla  presenza  di  un  giustificato  motivo  obiettivo   (vedi   in
 motivazione  Corte  cost.  22  maggio  1987  n.  180) e che, inoltre,
 neppure puo' sostenersi che il licenziamento collettivo del dirigente
 non merita alcuna particolare attenzione  da  parte  del  legislatore
 poiche',  contrariamente a quanto avviene per le altre categorie, non
 desta "allarme sociale",  essendo  invece  noto  che  per  l'ampiezza
 assunta    dal   fenomeno   nell'attuale   contesto   economico,   il
 licenziamenrto collettivo del dirigente (la cui  configurabilita'  e'
 ammessa  da Cass.  15 febbraio 1992 n. 1836), e' evenienza tutt'altro
 che rara e foriera di rilevanti tensioni sociali.
   Di cio', del resto, si ha riprova  non  solo  nella  contrattazione
 collettiva  che  ha  previsto e regolamentato, ad esempio nel settore
 dell'industria,  la  fattispecie  di  licenziamento  collettivo   dei
 dirigenti  (vedi accordi del 16 maggio 1985 e del 3 ottobre 1989), ma
 altresi' nella recente attenzione data alla questione dal legislatore
 che all'art. 9 del d.-l. 1 ottobre 1996 n. 513 (Gazzetta Ufficiale n.
 231) ha espressamente previsto,  proprio  nel  settore  creditizio  e
 limitatamente  alla  vicenda  della  Sicilcassa,  l'pplicazione della
 procedura  di  cui  alla  legge  n.  223/1991  anche  al   "personale
 direttivo".
   E'  indubbio,  poi,  che quest'ultima previsione normativa non puo'
 che muovere dalla considerazione sopra accolta della non operativita'
 della procedura di licenziamento collettivo ex art. n.   223/1991  ai
 dirigenti  "puri"  ed  ai  funzionari,  entrambi  facenti  parte  del
 "personale  direttivo",  previsione  che  sia   in   quanto   emanata
 successivamente  ai  provvedimenti  di  licenziamento  adottati dalla
 Banca di Sassari, sia  in  quanto  espressamente  prevista  solo  per
 l'istituto  di  credito sopra considerato, non puo' essere oggetto di
 interpretazione estensiva.
   Evidente appare, infine, la  rilevanza  nel  caso  in  esame  della
 questione  di costituzionalita' della disposizione richiamata, atteso
 che i recessi disposti dalla Banca di Sassari risultano  validi  solo
 ed  in  quanto sia legittima la procedura al termine della quale sono
 stati  emessi,  dovendosi  inoltre  osservare   che   detti   recessi
 difficilmente  potrebbero reputarsi idonei a risolvere il rapporto di
 lavoro, qualificandoli alla stregua  di  licenziamenti  "individuali"
 per giustificato motivo obiettivo, poiche' se e' vero che l'eccedenza
 di  personale  costituisce  una  delle ipotesi di giustificato motivo
 obiettivo, e' altrettanto vero che i ricorrenti sono stati scelti tra
 i dirigenti che astrattamente potevano  essere  licenziati,  in  base
 all'unico  criterio  della maggiore anzianita' contributiva, criterio
 che  se  puo'  essere  razionale  nell'ambito  di  una  procedura  di
 licenziamento  collettivo  (ed in proposito vedi art. 9 decreto-legge
 n. 513/1996 cit.), non lo e' certamente se riferito ad una pluralita'
 di licenziamenti individuali per g.m.o.